Il progetto

ALDiNa è un progetto nato nel 2021 all'interno dell'Associazione di Informatica umanistica e cultura digitale (AIUCD), con la collaborazione di CLARIN-IT, l'Infrastruttura Comune Italiana per le Risorse e le Tecnologie linguistiche.

Siamo un gruppo di studiose e studiosi di diverse discipline che lavorano insieme sul tema degli archivi letterari nati digitalmente. Ci siamo riuniti nella convinzione che sia necessario collaborare su questi temi per individuare e condividere metodologie e buone pratiche di acquisizione, gestione e preservazione, garantendo l'accesso e lo studio di questi materiali anche confrontandosi con esperienze diverse, sia nazionali che internazionali.

Sono ormai numerosi i soggetti conservatori che hanno nelle loro collezioni materiali letterari nati digitalmente: memorizzati su diversi supporti e in differenti formati, spesso proprietari e privi di adeguata documentazione, rappresentano un patrimonio che rischia di non essere adeguatamente conservato e compreso.

La mancanza di sensibilità e di cura archivistica e filologica accanto all’obsolescenza di hardware e di software aumentano il rischio di vuoti di memoria. Casi paradigmatici sono la riformattazione di molti Personal Computer di autrici e autori e la perdita di materiali significativi a causa, ad esempio, della smagnetizzazione di floppy disk.

Il primo obiettivo del gruppo è la realizzazione di un censimento dei materiali conservati presso centri di ricerca, fondazioni, università, biblioteche, archivi e musei, ed eventualmente, in futuro, presso case editrici e sedi di riviste, e altre realtà che conservano a vario titolo questa tipologia di materiale. Riteniamo infatti che un primo sondaggio sul territorio sia una condizione essenziale per aprire un dibattito sul tema, ormai urgente e non più rinviabile.

Abbiamo realizzato un questionario per coinvolgere un ampio numero di soggetti conservatori; il lavoro sarà integrato da consultazioni e verifiche dirette presso archivi e istituzioni.

 

In pillole

  • 01 Digitale nativo e patrimonio culturale

    Nel 2014 il Consiglio dell’Unione Europea ha incluso il digitale nativo all’interno del concetto di Cultural Heritage: il patrimonio culturale – si legge nel documentoè costituito dalle risorse ereditate dal passato, in tutte le forme e gli aspetti – materiali, immateriali e digitali (prodotti originariamente in formato digitale e digitalizzati), ivi inclusi i monumenti, i siti, i paesaggi, le competenze, le prassi, le conoscenze e le espressioni della creatività umana, nonché le collezioni conservate e gestite da organismi pubblici e privati quali musei, biblioteche e archivi. Esso ha origine dall'interazione nel tempo fra le persone e i luoghi ed è in costante evoluzione. Dette risorse rivestono grande valore per la società dal punto di vista culturale, ambientale, sociale ed economico e la loro gestione sostenibile rappresenta pertanto una scelta strategica per il 21° secolo.

  • In Italia,il Piano Nazionale di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale 2022-2023 del Ministero della Cultura ha recepito le conclusioni del Consiglio dell’UE del 2014 commentando l’importanza di questo passaggio, che supera la funzione ancillare del bene digitale come replica o copia dell’originale fisico e afferma la legittimità di un percorso di conoscenza autonomo, peculiare e connotato da originalità. Originalità che non discende dall’oggetto, ma dalla relazione intellettuale da cui il bene digitale prende forma e da cui attinge nuovi significati trasmissibili e non solo “pensabili”.

  • Lo stesso Piano Nazionale di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale 2022-2023 dà una definizione di documenti digitali nativi in ambito culturale: hanno origine in una forma digitale, in inglese born digital, e non sono una riproduzione di beni analogici. I materiali nativamente digitali sono al centro del dibattito odierno sia per la raccolta e la gestione ma anche per le problematiche che sussistono ad archiviare tale materiale in relazione all’obsolescenza di hardware e software e alla mole dei documenti che viene prodotta, in costante aumento […]. Gli archivi nativamente digitali comprendono una varia tipologia di materiali che includono siti web, documenti informatici, fotografie, interviste audio, video creativi o di documentazione, informazioni di eventi, materiale di riproduzioni digitali pregresse, copie di siti e di social network, ecc.

  • A partire dal primo decennio degli anni Zero, alcune istituzioni hanno iniziato a interrogarsi sul problema degli archivi digitali nativi in ambito letterario. Così Matthew Kirschenbaum nel suo “The .txtual Condition”: nel dominio specifico del letterario, uno scrittore che lavora oggigiorno non sarà e non potrà essere studiato in futuro nello stesso modo degli scrittori del passato, in quanto le prove materiali di base della propria attività autoriale – manoscritti e bozze, note di lavoro, corrispondenza, diari – stanno sempre di più migrando, come tutta la produzione testuale, verso la dimensione elettronica. In effetti, mentre stavo ultimando la mia prima bozza di questo saggio, la British Library ha aperto al pubblico accesso le sue carte di J.G. Ballard; questo è probabilmente, come un commentatore arguisce, «l’ultimo archivio esclusivamente non-digitale di tale statura», dal momento che Ballard non ha mai posseduto un computer. Considerate per contro l’enfant terrible di Oprah, Jonathan Franzen, il quale, secondo il «Time Magazine», scrive con un «pesante, obsoleto portatile Dell dal quale ha setacciato ogni traccia di ‘Hearts’ e ‘Solitario’, fino al livello del sistema operativo» (Grossman 2010). Un giorno un archivista potrebbe doversi confrontare con questa bestiaccia, così come con gli altri computer di Franzen, e con gli hard drive e le chiavette USB e i floppy disk in scatole da scarpe.